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La difficile misura del benessere: il Rapporto BES dopo la pandemia

La pandemia da COVID-19 ha cambiato profondamente tanti aspetti della vita quotidiana degli italiani, ma quale è stato il suo impatto sul benessere degli individui? Maria Letizia Tanturri riporta i principali risultati del IX rapporto BES (Benessere Equo e sostenibile): l’impatto della pandemia è stato indubbiamente negativo, specie per i giovani e per le donne, ma si scorgono anche alcuni segnali di speranza.

Un termometro per misurare il grado di benessere degli italiani: questo è il rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile in Italia) che ogni anno l’Istat predispone basandosi su 153 indicatori, scelti per dare conto del grado di benessere in 12 diversi ambiti che vanno dalla salute alle relazioni sociali, dall’istruzione al mercato del lavoro, dall’ambiente alla qualità dei servizi.

Il rapporto di quest’anno, il IX della serie, ci fornisce un quadro complessivo dei due anni di pandemia: il 2020, anno dello shock causato dall’emergenza sanitaria, e il 2021, anno della ripresa di PIL e dell’occupazione. La sua lettura assume pertanto un particolare significato per comprendere il grado di resilienza del Paese al trauma che ha vissuto.

Salute, occupazione e benessere economico: i più colpiti dalla pandemia

L’impatto della pandemia sulla salute è purtroppo ben noto: dopo decenni di continui incrementi della speranza di vita alla nascita, nel 2020 il Paese ha perso 1,2 anni a causa dell’aumento del rischio di mortalità dovuto al COVID-19, con un recupero parziale nel 2021, che in realtà ha interessato solo le regioni del Nord. 

Pesanti sono anche gli effetti della pandemia sul mercato del lavoro: l’Italia perde più occupazione rispetto all’Europa e recupera più lentamente.  Il mercato del lavoro italiano già prima della 2019 si presentava indebolito – rispetto al resto d’Europa –  dagli strascichi della recessione economica: solo nel 2018 il Paese aveva recuperato i livelli occupazionali pre-crisi. Confrontando i dati del secondo trimestre 2020 (il periodo del lockdown per intenderci), con quelli del trimestre precedente si riscontra un brusco crollo dei livelli occupazionali degli italiani (-3 punti percentuali) e un ulteriore aumento del divario con la media dei Paesi dell’Unione Europea a 27 (che nello stesso periodo ha perso in media 1.9 punti), con esiti ancora più negativi per le donne (-3.1 punti). Nel 2021 nonostante la crescita dei livelli occupazionali osservata fino, né gli uomini, né le donne hanno raggiunto i valori dell’indicatore corrispondenti al quarto trimestre 2019, anche se la ripresa è stata un po’ più rapida per le donne.  Nel 2021 la ripresa è stata trainata da un aumento di lavoratori precari, mentre si osserva ancora una diminuzione dei lavoratori autonomi.

L’impatto della pandemia è stato particolarmente duro anche per gli stranieri (in particolare per le donne). Se nel 2019 il tasso di occupazione era più alto per gli stranieri che non per gli italiani (64,4 contro 63.4), nel 2020 gli stranieri perdono 4.4 punti, contro 1.3 degli italiani. 

La pandemia, però, potrebbe aver aiutato a svecchiare il modello produttivo degli italiani: gli occupati che lavorano da casa sono triplicati negli ultimi due anni e nel 2021 sfiorano il 15%. Aumenta anche la soddisfazione per il lavoro e si riduce l’incertezza sul futuro del lavoro.

La pandemia ha minato duramente il benessere economico. Cresce la quota di famiglie che arriva con difficoltà alla fine del mese e la quota di cittadini in povertà assoluta. Nel 2021, nonostante ci sia la ripresa, la povertà assoluta si mantiene stabile, riguardando più di 5 milioni 500mila individui (9,4%). Il Nord recupera parzialmente il forte incremento nella povertà assoluta osservato nel primo anno di pandemia, anche se non torna ai livelli osservati nel 2019 (6,8%, 9,3% e 8,2% rispettivamente nel 2019, 2020 e 2021). Nel Mezzogiorno, invece, le persone povere continuano a crescere di quasi 196mila unità e si confermano incidenze di povertà più elevate e in aumento, arrivando al 12,1% per gli individui (era l’11,1% nel 2020).

Giovani e adolescenti: vittime primarie della pandemia

Il rapporto suona un vero e proprio campanello d’allarme per i bambini e gli adolescenti che hanno pagato il prezzo più alto dei due anni difficili appena trascorsi. I dati non lasciano dubbi di interpretazione su vari fronti. In primo luogo, è raddoppiata la proporzione di giovani insoddisfatta della propria vita (in controtendenza rispetto alla totalità della popolazione) e con un basso punteggio di salute mentale. Sono 220.000 i ragazzi tra 14 e 19 anni che si dichiarano insoddisfatti e si trovano al tempo stesso in una situazione di disagio. Cresce anche la proporzione di ragazzi sedentari: più di un giovane su cinque. In terzo luogo aumenta il disagio che si manifesta con comportamenti trasgressivi, come il consumo di alcol a rischio che riguarda circa un ragazzo tra i 14-17 anni su cinque. Nell’età in cui le relazioni tra pari sono fondamentali, la soddisfazione degli adolescenti italiani per le relazioni amicali scende sensibilmente, e al tempo stesso diminuisce (dal 90 al 74%) la quota di ragazzi che dichiara di incontrarsi con gli amici almeno una volta alla settimana, cresce pure la quota di giovani che sostiene di non avere amici su cui contare. La convivenza forzata durante i lockdown, le difficoltà nella condivisione degli spazi domestici hanno minato anche la soddisfazione per le relazioni familiari che si è ridotta.

A questa “desertificazione degli affetti”- come la definisce il presidente dell’ISTAT –  si accompagna anche un peggioramento evidente delle condizioni economiche dei giovani. Il totale dei minori in povertà assoluta nel 2021 è pari a 1 milione e 384mila: l’incidenza è al 14,2%, maggiore di quasi tre punti percentuali rispetto al 2019. I tassi di occupazione giovanile restano tra i più bassi in Europa. Già l’Italia prima della pandemia aveva il triste primato in Europa per la quota di ragazzi NEET (15-29) che non sono inseriti né nel mercato del lavoro, né in percorsi formativi e professionali. Questa quota resta elevata, ma in aggiunta in questi due anni aumentano ulteriormente anche gli abbandoni scolastici (13%), si intensifica l’emigrazione all’estero dei giovani laureati nonostante le limitazioni negli spostamenti (- 14.000 unità di migrazione netta), peggiorano le competenze linguistiche e matematiche acquisite dai giovani nei loro percorso di studio.

Questo quadro di difficoltà generalizzata per le giovani generazioni deve essere affrontato con la massima urgenza dalle politiche sia per ragioni di equità, sia perché il Paese non può permettersi di compromettere il suo sviluppo futuro abbandonando adolescenti e giovani, e lasciando così che il suo capitale umano, nonché il suo capitale sociale, si deteriori.

Qualche nota di speranza

Nel IX Rapporto Bes, ci sono anche delle sorprese positive e in parte inattese, capaci di infondere speranza per il futuro. Ad esempio, cresce leggermente la quota di persone molto soddisfatte per la propria vita e di ottimisti verso il futuro. Si diffonde l’utilizzo di Internet, specie tra i più piccoli e tra gli anziani: quasi tre quarti degli italiani navigano abitualmente in rete, anche se tre famiglie su 10 non dispongono ancora di un pc e di una connessione. Aumenta il ricorso alla formazione continua (anche grazie all’aumento dell’offerta di corsi online). Accresce sensibilmente la partecipazione politica e civica durante la pandemia. In questi anni sono diminuiti in modo tangibile anche i reati predatori (furti, rapine e borseggi) e in parallelo aumenta la percezione soggettiva della sicurezza dei cittadini. Le restrizioni negli spostamenti hanno contribuito anche a migliorare la qualità dell’aria. 

Sorprende, infine, che il grado di fiducia verso gli altri, che nel nostro Paese presenta tradizionalmente livelli molto bassi, sia cresciuto in questi ultimi due anni: circa un quarto degli italiani dichiara di avere fiducia nei propri concittadini, il livello più alto dell’ultimo decennio, anche se resta però importante il divario tra il Nord – dove il grado di fiducia è più elevato – e il Sud dove resta più contenuto. La crescita di questo indicatore è un segnale importante: è ben noto, infatti, che nei paesi dove il livello di fiducia reciproca è elevata, la società è più coesa, funziona meglio, è meno soggetta ad episodi di corruzione e risponde meglio anche alle crisi.

Per saperne di più

ISTAT – Rapporto sul Benessere equo e sostenibile – Anno 2021