Vi proponiamo un articolo comparso il 24 gennaio sul sito neodemos.info a cura di Giulia Assirelli, Carlo Barone e Ettore Recchi
Le recenti dichiarazioni del Ministro Poletti sui giovani italiani che migrano all’estero hanno fatto discutere. Poletti dichiara di conoscere “gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata perché sicuramente il nostro paese non soffrirà a non averli più tra i piedi”. Il Ministro del Lavoro conosce forse qualche giovane emigrato che vale poco a suo avviso, ma queste conoscenze aneddotiche non aiutano molto a stimolare un dibattito serio sulla questione. I dati Istat dell’indagine 2015 sui laureati italiani offrono una base di riflessione più solida. In un nostro lavoro recente abbiamo ricostruito l’identikit di chi emigra e abbiamo confrontato gli esiti professionali di chi emigra e di chi resta in Italia. Vediamo in breve cosa emerge.
Anzitutto i dati Istat 2015 indicano che un laureato italiano su venti (4,7%) risiede all’estero a quattro anni dalla laurea. Questo equivale a dire che ogni anno 14.000 laureati migrano stabilmente all’estero (peraltro il dato è probabilmente sottostimato perché l’indagine Istat non raggiunge tutti i laureati che migrano). Ancora più eclatante è notare che il tasso di emigrazione all’estero è raddoppiato rispetto alla precedente indagine Istat di quattro anni prima: dal 2,4% al 4,7%. L’Europa continentale (soprattutto Germania e Francia), la Gran Bretagna e i paesi scandinavi sono le mete preferite, mentre la migrazione nel Sud o Est Europa e quella extra-europea restano minoritarie.
I laureati che migrano provengono più spesso da università del Nord Italia e dalle lauree scientifiche come matematica e fisica, da ingegneria e informatica oppure hanno una laurea in lingue o studi internazionali. Si sono diplomati più spesso in un liceo, hanno ottenuto più frequentemente un voto di 110 e lode e hanno più probabilità della media di aver frequentato programmi di scambio internazionale durante gli studi universitari (tipicamente l’Erasmus). Le differenze rispetto a chi resta non sono molto forti, ma nel complesso è difficile sostenere che il nostro paese esporti laureati di scarso valore di cui non si sentirà la mancanza.
Utilizzando la tecnica statistica del propensity score matching, abbiamo confrontato i redditi netti di chi emigra e di chi resta, aggiustati per il costo della vita nei paesi di destinazione. Ebbene, chi emigra guadagna il 36% in più (dato in crescita rispetto al valore del +27% registrato nel 2011). Non è solo una questione di redditi. I nostri modelli statistici indicano che chi emigra all’estero svolge più spesso lavori più qualificati (+6,8%) e percepisce di avere migliori opportunità di carriera (+21%). E’ possibile che questi differenziali non discendano solo dalla scelta di migrare, ad esempio chi emigra potrebbe essere mediamente più capace e motivato di chi resta (un’ipotesi che forse sorprenderà il Ministro Poletti ma che è spesso menzionata in letteratura): la pur lunga lista di variabili di controllo dei nostri modelli sulla carriera scolastica e universitaria potrebbe non catturare pienamente queste differenze. Tuttavia ci sembra molto probabile che queste differenze riflettano anche, in misura rilevante, le differenti opportunità di realizzazione professionale che vengono offerte a chi decide di spendere la propria laurea in un altro paese, al confronto con chi resta in Italia. Del resto, nove laureati emigrati su dieci (89,6%) dichiarano di essere partiti proprio per trovare lavori più qualificati. Ci pare, insomma, che questi dati raccontino qualcosa di significativo sulla drammatica incapacità del nostro paese di creare opportunità di lavoro qualificato, un problema che ci auguriamo appassioni il Ministro del Lavoro almeno quanto i giudizi sul valore di chi abbandona il nostro paese.
Parte dei dati citati in questo articolo sono tratti dal working paper: Recchi, E., Barone, C. and Assirelli, G., Graduate Migration out of Italy: Predictors and Pay-Offs, “Notes & Documents de l’OSC”, working paper 3/2016, July,